Procedimenti e materiali

La pergamena
La pergamena si otteneva dalla lavorazione delle pelli di pecora, capra o vitello. Il procedimento era lungo e finalizzato ad ottenere una superficie elastica, sottile e liscia, adatta all’applicazione degli inchiostri e dei colori.
Per renderla completamente bianca e levigata si usava anche cospargerla con varie sostanze, come ad esempio gesso e colla oppure, come consigliava Cennini, con una finissima polvere di ossa di gallina calcinate e macinate. Quest’ultimo trattamento probabilmente è stato eseguito anche sul Graduale 558, come fa pensare il ritrovamento di calcio sulla superficie della pergamena effettuato con l’indagine XRF, anche se la presenza di questo elemento può essere riferita all’uso di carbonato di calcio (calcite) come strato preparatorio.
Dopo la lavorazione, la pergamena veniva piegata a metà una o più volte secondo le dimensioni che si volevano dare al manoscritto e si otteneva un fascicolo. Un manoscritto era composto da un numero variabile di fascicoli.

Lo specchio di scrittura
Prima di iniziare a scrivere il copista tracciava lo specchio di scrittura cioè lo spazio entro cui disporre il testo e le iniziali ornate e figurate. Gli strumenti di cui si serviva erano: riga, squadra, compasso e stilo (o punteruolo). Per la trascrizione del testo usava la penna d’oca e nella mano sinistra teneva il raschietto, un coltellino con cui cancellava gli errori.

Il disegno (Cennini, capp. X e CLVII)
Il miniatore tracciava il disegno delle iniziali, delle figure e dei fregi ornamentali con lo stilo di piombo, un’asta di legno con punta metallica, che lasciava sulla pergamena una traccia sottile, facilmente cancellabile con la mollica di pane. Ripassava i contorni con la penna d’oca a punta sottile e inchiostro, tracciando anche le linee dei panneggi delle vesti (Graduale 558 c. 109 r, 93r 60v – Antifonario di san Gaggio c. 58r santa Monica). I volti e i panneggi delle figure venivano talvolta ombreggiati a pennello e inchiostro molto diluito temperato con gomma arabica.(c. 109 i santi martiri).

La doratura
Per applicare la foglia d’oro il miniatore prendeva un composto di gesso sottilissimo, argilla rossa – il bolo armeno – e colla di pergamena e dopo averlo ben macinato lo stendeva sulle parti da dorare; poi con una piccola quantità di liquido ottenuto dall’albume d’uovo, con funzione di legante, vi applicava la foglia d’oro “ come fanno i pittori quando fissano l’oro sulle tavole”(De Arte Illuminandi, Rubr. XIV). Infine doveva brunire, cioè lucidare la superficie con pietra d’agata o dente di carnivoro.
Le indagini scientifiche condotte sul Graduale 558 hanno rivelato che per l’applicazione dell’oro non è stato utilizzato il bolo armeno, ma ossidi di ferro (minerale ematite), miscelato con del gesso, con quattro diverse colorazioni: arancione (da.9r a 33v;124r e156v ), rosa albicocca (da c. 41v a c.68v e c.93r e nell’Antifonario a c. 58r), rosa pallido (70v, 73v, 86v) e bruno (c. 100r e 109r). Inoltre, sono state ritrovate anche piccole quantità di mercurio, riconducibili alla presenza di cinabro, che conferisce una colorazione rossastra al composto.