Dodici mesi d'Arte
Dodici capolavori presentati e descritti dal
soprintendente Cristina Acidini
“Il museo occupa una parte dell'antico monastero delle Benedettine di Sant'Apollonia, fondato nel 1339 e ingrandito nel Quattrocento. Nel 1447 circa Andrea del Castagno affrescò la parete di fondo del refettorio con l'Ultima Cena, la Crocifissione, la Deposizione e la Resurrezione. Nel museo sono esposti anche altri affreschi staccati di Andrea del Castagno con le relative sinopie e dipinti di Paolo Schiavo e di Neri di Bicci, provenienti dal monastero”. Fin qui il nostro sito ufficiale. Ma entriamo, e nel mese di Pasqua confrontiamoci con quella Ultima Cena che rappresenta il contributo di Andrea del Castagno – uno dei grandissimi pittori del Quattrocento – all’iconografi a dell’evento neotestamentario su cui s’incardina la vicenda della Redenzione: Gesù Cristo vive con gli Apostoli un estremo incontro conviviale, nel corso del quale istituisce il sacramento dell’Eucaristia e annuncia che uno di loro lo tradirà. Giuda, il traditore – già isolato, di spalle, in primo piano – uscirà a breve per quella delazione, che condurrà Cristo alla cattura, alla passione, alla crocifissione, alla resurrezione nell’arco di tre giorni.
Guardiamo i moti, i gesti, gli sguardi degli Apostoli bloccati in atteggiamenti diversi, nella materia densa e quasi minerale di una pittura che aspira a diventare scultura, suggerendo lo spazio e i volumi.
Guadiamo la scatola che li racchiude, una lunga camera priva della parete anteriore, autentico luogo teatrale dove si svolge il dramma sacro: una celebrazione in termini pittorici delle regole della prospettiva messa a punto da Filippo Brunelleschi, che entusiasmò tanti artisti del Rinascimento fiorentino.
E poi perdiamoci nella vertigine dei dettagli. Il tetto con le tegole serrate in una maglia nitida. Il soffitto scorciato, a travicelli bianconeri sfalsati con effetto “op”. Le incrostature di marmi fioriti, colorati, paradossalmente preziosi. La tovaglia a rombi, rustica e raffinata. I fantasmi delle stoviglie (purtroppo dipinte a secco e quasi svanite): bottiglie e bicchieri in spericolata sporgenza dal tavolo, visti di sott’in su. L’arazzo millefiori sui sedili. Le paraste embricate, le sfingi-braccioli. E il pavimento supercompresso in prospettiva, in cui le piastrelle ridotte a finissime losanghe danno luogo a una vibrazione bianca e rossa, astratta e purissima.
L’ingresso è gratuito. Entrate, guardate, lasciatevi ispirare.