Dodici mesi d'Arte

Dodici capolavori presentati e descritti dal
soprintendente Cristina Acidini

Settembre Beato Angelico (o anonimo?) Tebaide Beato Angelico (o anonimo?) Tebaide Tempera su tavola Firenze, Galleria degli Uffizi. Inv. 1890, n. 447 di Cristina Acidini

Una delle sale più affascinanti della mostra agli Uffizi Bagliori dorati. Il Gotico Internazionale a Firenze 1375-1440 è certamente quella delle "Tebaidi".
"Tebaide" significa "territorio di Tebe", e s\'intende la regione desertica dell’Alto Egitto, dove nel III secolo si ritirarono in solitudine i primi monaci ed eremiti cristiani. Il soggetto fu replicato in pittura da vari artisti del primo Quattrocento a Firenze, tanto che nella mostra Bagliori dorati ne sono esposti ben quattro esempi, di autori diversi e provenienze diverse e anche allo stato frammentario, ma tutti per un motivo o per l'altro capaci di attirare la curiosità e l'attenzione. Fa da punto di riferimento la "Tebaide" della Galleria degli Uffizi, che ha originato pareri contrastanti: da alcuni viene attribuita all'ambito di Gherardo Starnina, da altri al Beato Angelico, da altri ancora a un imitatore settecentesco. In effetti la tavola giunse nelle Gallerie Fiorentine assai tardi: nel 1780, quando la vendette Lamberto Cristiano Gori, che l’aveva ricevuta in eredità dal suo maestro, il pittore e collezionista Ignazio Hugford. Nulla di sicuro è noto della storia precedente del dipinto.
Se ci si lascia - a prescindere dall'attribuzione- catturare dalle immagini, ci si accorge di un'amabile contraddizione. Mentre i santi eremiti della Cristianità praticavano la preghiera e la meditazione cercandole nell'isolamento eremitico o nella reclusione monastica, l'insieme delle loro solitudini dà vita a un paesaggio animato come un presepio sovraccarico di figurette.
Tra selve, dirupi e specchi d'acqua spuntano chiese e campanili, si coltivano orticelli, si spalancano antri e grotte. Si vedono i funerali di sant’Efrem il Siro, teologo e dottore della chiesa, che diresse la scuola teologica di Edessa del 363 alla morte, componendo numerosi trattati in forma metrica in lingua siriaca. La barba e i capelli lunghissimi fanno riconoscere Sant’Onofrio, inselvatichito dal lungo romitaggio. San Benedetto tira su col cesto il cibo che gli vien passato perché si nutra nella caverna, in cui visse da solo per tre anni. Sant'Antonio viene tentato dal diavolo in forma femminile. Ancora Sant'Antonio divide con San Paolo una pagnotta portata da un corvo. San Pannunzio seppellisce Sant’Onofrio facendosi aiutare da due leoni…
Sulle acque verdi trascorrono navicelli carichi di misteriose presenze, soffiano venti dalle capigliature svolazzanti.
E' un mondo pervaso da una religiosità schietta e sentita, in armonia con le creature viventi e con la natura, un mondo per il quale forse la Firenze alacre ed affarista della mercatura e della finanza, a quasi mille anni di distanza, provava nostalgia.